lunedì 7 ottobre 2013

Fangirl, Way of Life - Carmen

Uno dei vari compiti della fangirl, specialmente se questa è appassionata di musica, è andare ai concerti.

Coloro che hanno a cuore una band e/o un artista italico, hanno un po' più fortuna a calarsi meglio nel ruolo di groupie, perché vuoi o non vuoi, il concerto una tantum allo stadio o alla sagra della salsiccia arrostita viene fuori almeno una volta l'anno.
Per le fangirl, invece, che hanno a cuore artisti dal passaporto non tricolore, assistere ad un concerto diventa un'impresa. Anche perché raramente l'Italia viene cagata nei World Tour e quando succede la caccia al biglietto diventa più sanguinosa degli Hunger Games.

Oggi, dunque, lasciamo da parte gli attori e i red carpet e leggiamo la fantastica esperienza di Carmen, che era nella folla in delirio, lo scorso 6 Luglio, dello stadio Olimpico di Roma per i Muse.


Ho già parlato fin troppo io, lasciamo spazio alle parole della nostra amica fangirl.



So che i Muse non sono di certo il solito gruppo su cui fangirleggiare alla “One Direction style”, in quanto i soggetti qui citati non hanno né il solito fisico o viso su cui sbavarci su come ogni fan girl che si rispetti, né fanno parte di una serie tv, né di una qualsiasi saga cinematografica o letteraria o checche sia.
No, stiamo parlando dei Muse, ragazze, roba seria. Gente che campa grazie al loro talento vero, gente che fa musica con la M maiuscola e, si, non piacciono a tutti, ma il genio di questi tre non può essere di certo opinabile.
Fatto sta che quando ripenso al 6 luglio 2013, non posso far altro che cominciare a piangere e a dondolarmi su me stessa.
Ascolto i Muse dal 2007. Sono sempre stata una loro fan, sempre attenta ad informarmi su tour, interviste, album e tutto ciò che ruota attorno a loro. I Muse sono venuti spesso in Italia.Ma ho dovuto aspettare il 2013 per vederli dal vivo.
6 anni.
S E I lunghissimi anni.


Quando, nel lontano (?) novembre 2012, mi ritrovai con quel così tanto desiderato biglietto in mano, non potevo crederci. Dopo tanta attesa era arrivato il mio momento: avrei visto la mia band preferita dal vivo! Considerando che circa il 70% dei miei artisti preferiti è andato in pensione, rinchiuso in una clinica di riabilitazione (ah, questi rocker)  o peggio ancora… passato a miglior vita, era un’occasione che non potevo perdermi.
Ricordo perfettamente quel giorno, e ricordo il conto alla rovescia, l’ansia che qualcosa andasse storto, l’attesa lunga sei mesi.
E poi, come tutte le cose belle, si è risolto tutto velocemente. Il 6 luglio arrivò.
La fila di 12 ore sotto il sole. Il caldo romano di luglio che batteva sulle teste di un numero indefinibile di persone appostate fuori lo Stadio Olimpico.
Ma uno non ci pensava al caldo, al sudore, alla puzza dei bagni chimici. No, stringevo tra le mani quel biglietto e pensavo “ne varrà la pena, ne varrà la pena”.
E comunque, gli scleri sotto quel dannato sole sono qualcosa di paragonabile alle intemperie di una donna impossessata dal demonio. Passavo da stati di delirio a stati di sofferenza atroce.
Ma la soddisfazione poi, di entrare nello Stadio, correre e riuscire ad arrivare in prima fila, ecco, quella cancellava via tutte le sei ore passate fuori lo stadio. Si, perché non potevo sapere che mi aspettavano altre sei ore dentro l’Olimpico, sempre e solo in piedi, schiacciata come una sardina in mezzo una marea di ragazzi sudati.
È stato così traumatico che ho rimosso tutto. Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare.
Poi, alle nove di sera, puntuali, si spengono le luci. Prima canzone: Supremacy, tratta dall’ultimo album The 2nd Law.
La scenografia era da togliere il fiato: robot, ciminiere che sputavano fuoco, luci, effetti speciali, mongolfiere volanti, attori sul palco. 



Quando vidi i 3 salire sul palco, credo di aver mancato un battito. Quando Matt, Matt Bellamy, arrivò davanti la passerella dove mi trovavo, mi sentii morire. Era vicinissimo. Lui, la sua chitarra. La sua voce, esattamente come me la immaginavo: perfetta. Solo chi c’era può capire ciò che sto raccontando.
Essere lì, loro davanti a me, 60.000 persone che cantavano all’unisono, è stato troppo. Poi, sapere che lì, in quel posto, c’erano persone altrettanto importanti, persone conosciute sul web con le quali condivido le stesse passioni, è stato davvero magico.
Due momenti non dimenticherò mai. Durante “Undisclosed Desires”, il trio scese giù dal palco, stringendo le mani a tutto coloro che si trovavano lì davanti.
Avere Matt Bellamy che canta ad un metro di distanza da me è stato.. wow, da togliere il fiato.
E poi, al termine del concerto, tutto lo Stadio intonava “Starlight”, e i protagonisti eravamo noi, i fan, mentre Matt passava il microfono al pubblico. In quel momento, mi sono sentita proprio “un’anima che morirebbe solo per sentirsi viva”, proprio come dice la canzone nel momento culminante (My life/ you electrify my life/ let’s cospire to ignite/ all the souls that would die just to feel alive.)
In quel momento realizzai davvero tutto, che non era un sogno.
È per questo che amo i concerti, lo considero un po’ il mio habitat naturale: ti fanno sentire viva. La passione per la musica ti da tanto, soprattutto questi momenti magici in cui il resto del mondo resta fuori.
Insomma, citando la mia Somo (♥) , che quella sera era lì, anche se non con me, ma in tribuna: “lo ricorderemo per sempre.”
Per sempre. E chissà che un giorno, proprio come mio padre ogni tanto si perde nei ricordi e mi racconta di quando andò al concerto dei Pink Floyd, chissà che anch’io non farò la stessa cosa con i miei figli!

Dunque, di nuovo grazie a Carmen per aver condiviso con il blog la sua magnifica esperienza, aspetto con impazienza valanghe di vostri racconti!
Se non vi ricordate l'indirizzo email, ci penso io a rinfrescarvi la memoria: diariopocosegretodiunafangirl@gmail.com



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