venerdì 23 giugno 2017

Quel periodo dell'anno...

Ebbene sì, è arrivato quel temuto periodo dell'anno.
Dichiarazione dei redditi? Sessione estiva all'università? Scrutini di fine anno scolastico?

NO!

La fine delle stagioni delle serie televisive.

Che di per sé è un guaio, se ci mettiamo che nel contempo vengono annunciati rinnovi e cancellazioni, il tutto si condisce di ansia.
(E' vero anche che si compensa alla mancanza di ottocentocinquantasei episodi settimanali con le serie estive - Ciao, Games of Thrones - o con i recuperoni di serie che ci ripromettiamo di fare durante l'inverno).



Insomma, la vera tragedia di questo periodo è l'uscita delle famose "liste" dei vari network con le cancellazioni e le conferme delle loro produzioni seriali.

E' vero che si tirano spesso sospiri di sollievo, ma sicuramente i bestemmioni e i pianti sono le reazioni che la fanno da padrone.


E non solo perché la nostra sfigatissima serie è stata cancellata, ma perché magari è stata confermata la settordicimillesima stagione di quella che invece ormai è diventata inutile e noiosa da un pezzo. (Ma che continuiamo a guardare un po' per inerzia, un po' perché in fondo ci dispiace mollare).

Ogni anno è la stessa storia: ci domandiamo cosa passa per la testa degli americani quando decidono di snobbare certe perle (nooo, non ho il dente avvelenato per American Crime, cosa dite) o perché si ostinino a guardare certi scempi (Once Upon A Time, anyone?).

Si parte già a marzo con le toto-cancellazioni (o toto-conferme), con i maggiori outlet web o blogger esperti che segnalano a "semaforo" (in rosso/giallo/verde) le varie serie. E noi stiamo lì a tremare o a sperare.

Alcune cancellazioni un po' si aspettano, altre sono totalmente random, ma in ogni caso, la disperazione è uguale. Totale.

Proprio mentre stavo abbozzando questo post (sì, perché ci metto una vita e mezzo a scriverne uno e prima lo abbozzo su un quaderno), è stata cancellata una delle mie serie TV preferite.
Tra l'altro non una a caso, ma una, a mio modestissimo parere, tra le più innovative degli ultimi anni: Sense8.



Al di là della storia in sé, particolare e forse un po' troppo complessa, il bello di questa serie era il modo di abbracciare e affrontare la diversity.
Otto persone, otto culture diverse, otto parti del mondo. Una coppia gay, una coppia lesbica, una coppia interraziale. Una donna transessuale. L'Africa. L'India. Il Sud-Est Asiatico. Il Messico. E tutto ciò raccontato con naturalezza, senza scadere in cliché e banalità.

Netflix probabilmente non ha voluto farla funzionare. E' vero, era una produzione costosissima, ma in primis la seconda stagione ha avuto una promozione pari a zero. Inoltre quell'ultima puntata lascia la storia totalmente aperta per accettare che sia finita così. Quindi faccio la gombloddista!!!111!11!1 e penso che sotto ci sia altro.
Come me, in tanti non hanno accettato questa decisione. E se io mi sono limitata a piangere e bestemmiare con più vigore del solito, qualcun altro ha scatenato l'inferno, mettendo su una petizione (link) che ad oggi ha superato le 500.00 firme, e mandando avanti tweet (con l'hashtag #BRINGBACKSENSE8) e mail bombing.

Il senso di questo aneddoto è sottolineare quante diverse reazioni possano provocare le decisioni dei grandi network. E' vero che solitamente ci si dispera in privato o nei limiti delle community del fandom, ma alle volte si colpiscono prodotti così validi che si va oltre.
E può sembrare stupido agli occhi di chi ne sta fuori, ma alle volte un telefilm di dà molto di più che 40 minuti di intrattenimento e va a finire così, che te la prendi come se ti avessero strappato via qualcosa di tuo.






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